Su Flash Art, in una (non tanto) recente Lettera al Direttore, viene sollevata un’annosa e irrisolta questione:
“CHI FA LA FORTUNA DI UN ARTISTA? È veramente il curatore che ti invita alle sue mostre, oppure il collezionista che ti permette di sopravvivere e magari ti sponsorizza tra i suoi amici oppure la galleria d’arte? O forse il Padreterno?
( Alfio Pacifici, Roma)”
Questo lo spunto per una riflessione sulle figure che operano attorno al mondo dell’arte.
Incontro Denaira Tolema, dopo essermi imbattuta nella sua rivista il cui nome è tutto un programma: D/railed : metafora di un treno deragliato, idealmente collocato al di sopra delle regole in una dimensione atemporale concepita per sfidare le convenzioni. Un progetto editoriale giovane che può vantare NY come base.
“Negli Stati Uniti, dove il tempo è denaro e lo status sociale e i relativi vantaggi economici che ne derivano sono determinati principalmente dalle capacità manageriali e di problem solving di ciascun individuo ( non c’è produttività senza “pragmatism oriented mentality”)- racconta la Tolema- ho imparato non solo che essere creativi e pensare out of the box non è un “difetto da correggere”, ma che qualunque iniziativa, sia essa di natura intellettuale o meno, si può tradurre in qualcosa di remunerativo (perfino la scrittura!).
Cosa rende la tua rivista diversa dalle già note testate di arte?
“Per D/railed ho preso ispirazione dai miei magazine d’ arte americani preferiti e da pagine Instagram come quella dilove.watts : ho pensato, “E se non ci fossero regole e una rivista di arte di alto livello potesse essere accademica e provocatoria allo stesso tempo”? Gli editori americani osano certamente più degli editori italiani, che tendono a piegarsi alle richieste di pubblico e sponsor: negli States è assolutamente vietato avere peli sulla lingua, quindi la critica dell’arte tende a prendere delle pieghe inconsuete, ma rimane comunque vincolata a determinati standard. La mia rivista riflette per filo e per segno la mia personalità e i miei vissuti attraverso le voci di alcuni dei migliori scrittori di arte sia emergenti che affermati. Una caratteristica “in via di definizione” della mia rivista consiste nell’anteporre la qualità alla quantità (degli articoli).”
Denaira ha una personalità eclettica ed esplosiva : formatasi come scrittrice, si sposta appena maggiorenne da Salerno a Roma, dove entra in contatto col mondo dell’arte romano : “una versione felliniana di quel che avrei trovato più avanti in Pennsylvania e a New York. Ai party e vernissage romani ho avuto modo di conoscere artisti, editori e curatori italiani e stranieri sia famosi che non e ho cominciato ad occuparmi di testi critici e traduzioni senza dare troppo peso alle collaborazioni a volte gratuite, a volte sottopagate che mi venivano offerte in Italia, poi le prime pubblicazioni su L’Urlo, Serox Cult, Arte In, Juliet, Art a Part of Culture e Artribune , che ho utilizzato per sperimentare il giornalismo e la critica dell’arte. Oggi porto avanti anche campagne PR. Lavorando, fra le altre cose, come press agent, mi capita spesso di creare delle strategie mediatiche su misura, concepite per rispondere alle richieste di artisti, curatori e galleristi sia emergenti che affermati (pubbliche relazioni, comunicati stampa, contatti con riviste di arte) con l’aiuto di scrittori e graphic designer americani altamente selezionati. Questo aspetto del mio lavoro mi permette di esplorare il mondo della comunicazione sia visiva che verbale e pubblicitaria, imparare, insegnare ad altri e, ovviamente, guadagnare. Nello specifico i nostri servizi spaziano dalla scrittura (testi e traduzioni) alla promozione di artisti ed eventi alla creazione di siti web, business cards e progetti curatoriali. Quindi D/railed Magazine funge anche da agenzia di pubbliche relazioni per professionisti del settore arte contemporanea e punto d’incontro fra artisti, scrittori e curatori dove al giudizio e alla competizione viene sostituito il confronto.
Nel 2014 scopri l’America: ci descrivi le prime impressioni sul sistema arte oltre-oceano?
“Ho certamente notato delle differenze relative al concetto di “meritocrazia” nel sistema dell’arte americano, dove chi si distingue per carisma e spirito imprenditoriale viene premiato a prescindere dall’estrazione sociale, mentre in Italia vigono ancora dinamiche di potere incentrate sulle differenze, lontani come siamo dalla politica inclusiva degli States.”
La galleria: luogo in estinzione o evoluzione? Il valore dello spazio di rappresentanza. E quello delle fiere?
“La galleria è certamente un luogo in evoluzione negli Stati Uniti, dove proliferano anche le gallerie online. Per quanto riguarda invece lo “spazio di rappresentanza” inteso come spazio fisico direi che è in estinzione, almeno in America, dove gli artisti che hanno imparato a utilizzare i social media (in particolare Instagram) ormai si auto-rappresentano senza interagire fisicamente con galleristi e collezionisti e arrivano a vendere fino al 50 % delle proprie opere chattando coi propri followers.”
“Le fiere italiane sono e rimangono di un livello abbastanza alto (Artissima Torino, per esempio), dal retrogusto vagamente concettuale con incursioni visive a sfondo socio-politico, e si può dire altrettanto dell’America (con la differenza, diciamo, che gli organizzatori delle fiere americane puntano ad intrattenere i propri visitatori oltre che a vendere, quindi sono incentrati sul sensazionalismo e sulla spettacolarizzazione dell’arte.) Mentre a New York e Miami si respira un’aria di festa che riflette l’energia spumeggiante dei venditori americani che “fa venire voglia di comprare”, in Italia si respirano sempre e comunque incenso e acqua santa (ovvero sembra di entrare in una chiesa), che poi è la stessa “distanza emotiva” che si avverte nelle gallerie italiane.”
I curatori, in Italia e negli States. Chi/cosa conferisce loro maggiore prestigio? La galleria, il Museo, la Fondazione, l’artista con cui lavorano, il sistema politico del paese/regione in cui operano?
“Il curatore in Italia è (fin troppo) spesso “figlio di” oppure, ad ogni modo, un personaggio socialmente inserito (in America detto “socialite”) di estrazione alto-borghese con agganci nel mondo dell’arte, della politica, della moda, dell’aristocrazia (qualunque cosa voglia dire al giorno d’oggi) e, secondariamente, della stampa: il curatore di mostre commerciali deve, per ovvi motivi, avere i contatti necessari (soprattutto collezionisti) per poter attirare l’attenzione dei media e vendere le opere in esposizione (se foste dei collezionisti preferireste affidarvi a qualcuno di estrazione bassa o a qualcuno della vostra medesima estrazione?); i curatori di mostre museali (in Italia) sono tendenzialmente accademici (storici dell’arte et similia). In America chiunque abbia delle idee “off the hook” e il giusto network può curare una mostra sia commerciale che museale ovunque, perfino a New York: non è “superficialità” e vi posso garantire che gli americani non sono “cheesy”( dozzinali): se avete delle carte da giocare anche se “non siete nessuno” a prescindere dalle vostre origini loro vi diranno sempre “Alright, I’ll give you a shot”, anche se difficilmente vi daranno una seconda chance in caso di fallimento.”
Che spazio ha la critica dell’arte all’epoca dei blogger, opinionist e social influencer?
“Certamente ormai la critica dell’arte non è più prerogativa esclusiva degli storici dell’arte, ma è diventata alla mercè di chiunque. L’ effetto di questa apertura del mondo dell’arte ad elementi esterni a sè stesso? Una lama a doppio taglio: la critica dell’arte si adatta al suo pubblico, perdendo forse in parte il suo valore intrinseco ma estendendosi alle problematiche sociali in maniera più capillare e facendosi portavoce (tramite blogger, opinionist e social influencer) del suo contrario. ”
Come fare rete nel mondo del contemporaneo? Quali limiti, barriere, circoli, nicchie?
“Fare networking nel mondo dell’arte vuol dire frequentare mostre e conferenze e supportare sia psicologicamente che economicamente artisti, curatori e scrittori. Non ci sono limiti (tranne la mancanza di verve), ma è importante cercare di “fare rete” con persone con cui si sia effettivamente stabilito un certo feeling sul piano sia personale che professionale, senza doppi fini, col solo scopo di entrare a far parte di questa “famiglia allargata” che è il mondo dell’arte internazionale. A tale proposito “circoli e nicchie” mi fa pensare ai gironi dell’inferno dantesco: si finisce, infatti, inevitabilmente, col ragionare per categorie nel tentativo di etichettare e/o appartenere: la strategia più efficace rimane, tuttavia, l’abilità di muoversi fra “cose e persone” con naturalezza e apertura verso l’altro e il nuovo, sebbene la critica (non soltanto dell’arte, i cui ideali di perfezione ci portiamo dietro fin dai tempi degli Egizi e dell’Antica Grecia) sia e rimanga uno degli aspetti più “duri a morire” dell’ interazione “intra-socio-e(ste)tica” fra “esponenti dello stesso clan”.